Baristi e ristoratori: «Noi paghiamo più di tutti» Si spera nei dehors, ma qualcuno pensa di cedere
Si era parlato del 18 maggio e l’ulteriore slittamento crea disagio a chi ha i propri esercizi fermi ormai da un paio di mesi.
Per di più, l’assenza di disposizioni, in particolare per quel che riguarda i criteri delle distanze, impedisce di iniziare a pensare la riorganizzazione.
Nel frattempo, parecchi si sono attivati per il servizio a domicilio, ma si tratta chiaramente di un palliativo
«Come tutti i ristoratori sono deluso e preoccupato - afferma Danilo Giordanino della trattoria “I Quat Taulin” - perché tutto viene rimandato e non si conoscono ancora le regole per la riapertura. Oltretutto, disponendo di un solo salone senza possibilità di dehors, il problema del distanziamento diventa complicato. Non so come reagiranno i clienti. Ora abbiamo avviato la consegna a domicilio - continua Giordanino -, il pranzo del 25 aprile è stato un successo. Continueremo anche il primo maggio e faremo anche l’asporto dei nostri piatti direttamente ai Quat Taulin, in via Piave. Per l’estate comunque contiamo di aprire un’accoglienza rurale presso l’azienda agricola di famiglia a Pagno».
«Abbiamo installato piantane per il gel igienizzante all’ingresso del locale - spiega Marco Fissore del Caffè della Vittoria in via Martiri della Liberazione - ma altro non posso fare finché non conosco le disposizioni».
C’è chi, sempre nell’ambito dei bar, deve fare i conti con spazi ridotti, come il Tiffany di corso Italia. «Spero - dice il titolare Luca Maero - che sia possibile rinegoziare l’affitto e che mi sia consentita la somministrazione all’esterno insieme alla possibilità di estendere il dehors».
Su un aspetto tutti i titolari di bar sono concordi: laddove è possibile il Comune conceda l’opportunità del massimo ampliamento dei dehors senza aggravi di costi sul plateatico.
A questo guardano con attenzione anche Alfonso Russo e Mario Cetera, titolari delle pizzerie Piedigrotta e Rododendro di piazza Cavour.
«La gente, dopo questa lunga reclusione in casa - dicono - ha voglia di aria aperta. Confidiamo che l’amministrazione ci conceda maggiori spazi all’aperto. Se lo fa Milano non vediamo perché non dovrebbe farlo Saluzzo».
«La cosa comunque che più ci preme in questo momento - aggiunge Cetera - è che ci facciano lavorare!».
Il generale malcontento della categoria viene rimarcato da Cosimo Ciaccia del ristorante-pizzeria Cà Noa. «Siamo chiusi da due mesi e nessuno finora ci ha detto crepa. Affitti, bollette e spese corrono e il governo che parla di milioni e miliardi a noi ha dato nulla. Dobbiamo essere noi a pagare per tutti? Ma di che stiamo parlando? Io e il mio socio Franco Rucireta - continua Ciaccia - stiamo seriamente pensando, come tanti altri, se il gioco valga ancora la candela. Se davvero bisognerà più che dimezzare i posti e fare chissà quali interventi per garantire il distanziamento fra i clienti, meglio lasciar perdere e cedere il locale. Se volevano ammazzarci, stavolta rischiano di farcela».