«Ho vissuto notti insonni per l’Officina delle Idee Ma rifarei tutto. Non potevo restare a guardare» parla giovanni damiano, presidente dell’associazione a supporto dell’ospedale
A fine febbraio il Covid-19 arriva improvvisamente in Italia e, in pochi giorni cambia le nostre vite. A Saluzzo si mette in moto l’Officina delle Idee, l’associazione guidata da Giovanni Damiano. Sono settimane frenetiche, senza respiro. Ora, a tre mesi di distanza, è il momento di guardarsi indietro e raccontare, attraverso le parole di Damiano, che cosa è successo.Quando è entrata in azione in quest’emergenza l’Officina delle Idee?
«Nella mischia del Covid 19 mi ci sono trovato un po' per caso. Il 20 febbraio ero a Milano con mio fratello Alessandro, in mezzo alla ressa in piazza del Duomo, a pranzo dalla gastronomia Peck (quanti ricordi, perché a Milano sono nato e cresciuto). Pochi giorni dopo scoppia il caos e spaventato alzo il telefono per cercare il mio amico Francesco Villois dell'associazione Amici del SS. Annunziata. Ci diciamo: "Facciamo qualcosa". Nasce tutto da lì. Con Villois, Domenico Filippi e Baldassarre Doronzo partiamo per cercare protezioni per gli operatori: mascherine, tute, visori. Passiamo sere intere al telefono. Tramite un contatto faccio un ordine considerevole di mascherine, azzardo un pagamento anticipato. Garantisco personalmente, perché una fideiussione bancaria richiederebbe troppo tempo. Passo un fine settimana agitato, senza dire nulla in casa. Martedì arriva un camion carico di dpi e mascherine e finalmente respiro. È andata bene».
Dopo alcuni giorni è stato individuato l’ospedale di Saluzzo come reparto Covid. Come ha accolto questa notizia?
«Inizialmente mi ha lasciato perplesso: penso a mia moglie che ci lavora, insieme a tanti amici come Valerio, Daria, Manuele. Sono preoccupato, ma se così viene chiesto di fare, si fa. Sono ruoli che qualcuno deve pur accollarsi: non ci si può tirare indietro. Vediamola come un'opportunità, mi dico, cerchiamo di giocarcela bene per il dopo».
Nessuno si aspettava una risposta così forte da aziende e cittadini sul fronte delle donazioni. È stato semplice gestire questo flusso di denaro?
«Le cose si susseguono come in un vortice: per fortuna che con me c'è il direttivo, in particolare Maria Teresa Rubiolo. Inizia la raccolta fondi, fatta di videochiamate con il gruppo di lavoro, di telefonate con tutti i contatti possibili, dalle ferramenta ai consorzi agrari, passando per gli uffici dell'Asl. Un giorno in banca chiedo un estratto conto e mi stampano decine di movimenti su pagine e pagine: la gente ha colto il nostro appello. Il territorio ha compreso quanto l'Ospedale cittadino sia il fronte di una guerra nuova e spietata, che può colpire chiunque. Compriamo materiale per tutelare gli operatori, diamo una mano alle Rsa e ai territori dei distretti, alle Forze dell'Ordine, ai Comuni. Acquistiamo strumentazione, ma anche ci accolliamo lavori strutturali (come impianti di condizionamento e aria medicale) che migliorano l'Ospedale. Dei soldi propri uno ne fa quel che vuole: dei soldi degli altri certamente no, quindi abbiamo prestato la massima attenzione. Per questo abbiamo voluto lasciare la rendicontazione a una persona "terza", un commercialista che ha messo firma e timbro».
La risposta strutturale dell’Asl e in particolare dell’ospedale di Saluzzo è stata encomiabile. Ora si guarda al futuro dell’ospedale?
«Da settanta ospiti in terapia sub intensiva e dodici in terapia intensiva, oggi siamo a una quindicina in totale. La fase due è ora! Quindi per quanto i rischi siano ancora presenti e reali, occorre ripartire. Certo, riavviare i motori di una macchina da centinaia di utenti giornalieri e decine di operatori è complesso. Ma il direttore dell’Asl, Brugaletta non è quello che in piemontese diremmo un "fafiuchè", uno che fa promesse da marinaio insomma, e ci ha garantito che su Saluzzo torneranno tutti i servizi che c'erano prima del Covid 19, a partire dalla fisiatria, dall'oncologia e dalla medicina. Noi lo pretendiamo con fermezza e stiamo tirando dentro questo sacrosanto “pretendere”, anche le altre associazioni che si occupano di sanità locale, e i sindaci del territorio. I vari "saggi" che la Regione ha coinvolto dovranno ascoltarci. La risposta che il Saluzzese, insieme al Saviglianese e a Fossano, ha dato merita tutto il rispetto possibile».
Come ricorderà di questi tre mesi?
«Personalmente, per come sono fatto, non avrei resistito ai "domiciliari". Debitamente protetto, ho sempre girato per ferramenta e consorzi agrari del Cuneese. Mi è piaciuto e mi ha commosso cogliere tanta solidarietà, tanto desiderio di condivisione anche nelle avversità. Ho passato qualche notte insonne, ho avuto un po' di apprensione ogni tanto, ma ho sempre pensato a mio papà Amedeo, a cosa avrebbe fatto lui, a come si sarebbe comportato in quella certa circostanza. E questo mi ha dato una grande forza, un grande coraggio. Perchè lui mi ha insegnato che bisogna essere forti, ma anche umili».