Ospedali pieni e lunghe attese: parlano i volontari «Così abbiamo affrontato il virus»

Ospedali pieni e lunghe attese: parlano i volontari «Così abbiamo affrontato il virus»
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La sede di Barge della Croce Rossa Italiana ha analizzato alcuni dati legati alla pandemia da Covid-19 che ha caratterizzato il 2020. I volontari si sono occupati di elaborare un grafico per mostrare l’andamento dei casi di sospetta o accertata positività tra le file dei pazienti da loro soccorsi.

«I numeri riportati nel documento - precisa la volontaria Valeria Vallauri - non si riferiscono solo ai pazienti positivi al Covid-19, ma anche a tutti i casi in cui, non avendo certezze a riguardo, si è considerato il potenziale infetto».

Osservando la curva sul grafico, è possibile notare due picchi: rispettivamente il culmine della prima ondata, a marzo-aprile, e della seconda, a novembre. Gli interventi “sospetti” sono stati 142 e i volontari hanno dovuto indossare scrupolosamente il kit di massima protezione individuale, composto da tuta in tyvec, calzari, mascherina ffp2, visiera e doppio paio di guanti.

Spiega il referente della sede Paolo Peirone: «Questo non significa che sui casi “non sospetti” si potesse abbassare la guardia: per ogni intervento abbiamo scelto la via della prevenzione e della prudenza, dotandoci di camici monouso e mantenendo l’obbligo di utilizzare la mascherina ad alta protezione e la visiera».

Anche se i numeri sono molto ridotti, la curva è simile a quella su scala nazionale: nessun caso segnalato nei mesi di gennaio e febbraio 2020 mentre sono stati 11 a marzo e 18 ad aprile; poi una progressiva diminuzione fino al mese di luglio (8). L’inversione di rotta ad agosto (12) e settembre (9), La seconda ondata presenta 16 casi a ottobre, 33 a novembre e 16 a dicembre.

Sottolinea Vallauri: «È doveroso puntualizzare che questi numeri non fanno riferimento solamente a cittadini bargesi: gli interventi di soccorso ed assistenza dei volontari hanno interessato anche molti centri limitrofi».

Non tutti gli interventi sopra citati sono stati espletati in regime di emergenza; vi sono anche i trasporti ordinari, le dimissioni da ospedale, i trasporti per effettuare tamponi ed i trasferimenti da ospedale a tenda militare (e viceversa) o da ospedale ad ospedale, che hanno coinvolto i soccorritori nel periodo di massima saturazione delle strutture ospedaliere, in cui vi era la necessità di trasferire i pazienti laddove si riuscivano a ricavare posti letto disponibili.

«Quello è stato un periodo difficile - raccontano i volontari -, la gente vedeva file di ambulanze fuori dagli ospedali e spesso non ne capiva la motivazione, pensava si volesse fare allarmismo, quando il vero problema era la saturazione dei nosocomi. Ci capitava di affrontare lunghe attese davanti ai pronto soccorso, sforando spesso gli orari di fine turno».

Una pandemia che ha radicalmente trasformato anche il modo di operare dei soccorritori. Che spiegano: «Abbiamo sospeso, ovviamente, la formazione per la popolazione, mentre abbiamo mandato avanti quella per i futuri volontari avvalendoci della didattica a distanza. Inoltre, abbiamo lavorato sodo per garantire tutti i servizi: oltre ai numeri sopra citati, infatti, vi sono tutti gli interventi ed i trasporti come, per esempio, le dialisi, classificati come “non sospetti”. Era nostra premura poter continuare a garantire, nel nostro piccolo, l’accesso alle cure per tutti».

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