La psicologa: dai racconti degli studenti ho capito la loro voglia di tornare in classe intervista Maria Barrera, consulente del Bodoni e del Denina: questi mesi vissuti dalla parte dei ragazzi
Angoscia, smarrimento, depressione, paura sono stati d’animo che non è difficile immaginare diffusi nei giovani durante i tre mesi di chiusura delle scuole. In due superiori, il liceo Bodoni e l’istituto Denina-Pellico-Rivoira molti studenti si sono rivolti allo sportello di ascolto tenuto da Maria Barrera, che ha una formazione in psicologia clinica strategica e in psicologia scolastica e collabora dal 2006 con il Bodoni e dal 2019 con il Denina.Come funziona lo sportello di ascolto scolastico?
«Il servizio è stato istituito dalla legge 162 del 1990 e dovrebbe funzionare in tutte le scuole. Comunemente è chiamato “sportello d’ascolto” ed è condotto da uno psicologo o da un educatore. L’attività è pagata dalla scuola, può essere affidata a un professionista interno o, come nel mio caso, a un professionista esterno alla scuola. Lo sportello è attivo durante l’attività scolastica, in alcuni giorni prestabiliti ed è rivolto principalmente agli studenti, ma anche alle famiglie e agli insegnanti. Gli alunni prenotano un colloquio e hanno il permesso di effettuarlo durante l’orario scolastico».
Come è stato utilizzato lo sportello dagli studenti negli ultimi mesi in cui sono stati costretti a rimanere a casa?
«Abbiamo ritenuto importante proseguire l’attività dello sportello e, grazie alla grande attenzione e disponibilità dei dirigenti Lorenzo Rubini del Bodoni e Flavio Girodengo del Denina, sono stati avvisati tutti i rappresentanti d’istituto e di classe. Ho mandato un whatsapp con il mio numero che è stato inoltrato a circa 2000 studenti. I ragazzi mi scrivevano un messaggio e io fissavo data e ora della videochiamata».
Quali sono i profili degli studenti che si sono rivolti a lei per spiegare le loro difficoltà?
«Ho fatto in totale 120 colloqui, alcuni dei ragazzi erano già fruitori del servizio, altri no. Il servizio era aperto a genitori e insegnanti e alcuni di loro mi hanno scritto, ma le consulenze sono perlopiù avvenute tramite telefonate. Mi hanno contattata soprattutto gli allievi che stavano vivendo un momento di particolare ansia nei confronti della scuola, ma anche ragazzi e ragazze con problemi relazionali all’interno della famiglia o, semplicemente, adolescenti che sentivano il bisogno di un confronto in un momento così inaspettato nelle loro vite, in cui mancavano gli amici, lo sport, gli impegni, la libertà».
Ha dovuto prestare ascolto ai timori degli studenti alle prese con l’esame?
«Molti maturandi mi hanno contattata per gestire le loro ansie e le loro aspettative nei confronti di un esame diverso da come avrebbero immaginato e per confrontarsi rispetto al successivo percorso universitario».
Quali consigli ha dato loro?
«I ragazzi che mi hanno contattata avevano tutti una grande motivazione e hanno sempre rispettato gli appuntamenti. Alcuni avevano bisogno di avere qualche strumento di gestione dell’ansia, altri semplicemente di riflettere sulla situazione in essere e mantenere la progettualità per il futuro, affrontando la paura e l’incertezza. Abbiamo parlato di solitudine, noia, tristezza, resilienza e di quella “normalità” che a volte non si apprezza fino in fondo».
Lo stare chiusi in casa, con tutto quello che ne è conseguito, ha cambiato il punto di vista dei ragazzi?
«Sicuramente c’è stato chi ha imparato ad apprezzare il tempo rallentato, il valore dell’amicizia e degli affetti, delle relazioni in famiglia e con gli insegnanti. Ma a prevalere è la voglia di poter riprendere la vita di sempre, compresa la possibilità di stare in classe con i compagni».
Tempo di far passare agosto, e si dovrebbe ricominciare. Qual è la sua idea sul prossimo anno scolastico?
«Nessuno può ragionevolmente prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi. Penso che si stia navigando a vista, pur preparando le condizioni per la riapertura. Tutti speriamo che le lezioni inizino con la presenza dei ragazzi nelle aule, perché nessuna tecnologia può sostituire le relazioni umane, anche se la didattica a distanza è stata comunque efficace e gli insegnanti si sono attivati per fare del loro meglio».
Quali consigli si sente di suggerire ai ragazzi e alle famiglie?
«Credo che questo momento abbia fatto riflettere tutti, giovani e adulti, sulla fatica di tollerare le frustrazioni e gestire l’incertezza. Penso che sia utile dare ai ragazzi degli strumenti per diventare più forti e preparati ad affrontare gli imprevisti e le difficoltà. Troppo spesso le famiglie e la scuola tendono a semplificare la vita dei ragazzi e talvolta a deresponsabilizzarli, rendendoli di fatto impreparati a superare gli inevitabili scogli e gli ostacoli che troveranno sul loro cammino».
La scuola nel suo complesso come ne uscirà?
«Penso che questa esperienza debba insegnarci che la vera crescita passa attraverso il fronteggiare le difficoltà, non nell’evitarle. La paura, guardata in faccia, diventa coraggio. E la scuola deve guardare avanti con coraggio».