speciale internati militari

La Granda e gli Internati Militari Dimenticati

Gli alpini di Ora dell’8 settembre 1943 reportage / Dopo aver ritrovato il diario di prigionia del padre Pietro Quaglia, l’autore si è recato in alto adige alla ricerca di un ricordo ormai sbiadito dal tempo, rendendo omaggio ai caduti

La Granda e gli Internati Militari Dimenticati
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La ricorrenza della data dell’8 settembre, ottant’anni dopo il fatidico “armistizio” con le forze alleate anglo-americane, mi ha indotto a ricordare un episodio, non da tutti conosciuto, vissuto dal battaglione Alpini “Saluzzo”. (nota 1).

Dopo aver ritrovato e rispolverato il diario di prigionia, scritto in bella grafia su minuta del Regio Esercito (foto 1), di mio padre Pietro Quaglia (1915-2011), Alpino radiotelegrafista del Battaglione Saluzzo, sono partito espressamente alla volta di Ora (Auer), in Alto Adige, alla ricerca di un ricordo ormai sbiadito dal tempo (foto 4).

Arrivato in questo ameno paese altoatesino mi sono recato in doveroso omaggio sulla tomba degli alpini nel piccolo cimitero (foto 5 e 6), accendendo un lume in memoria.

La stele ricorda i nomi di questi giovani militari: sergente ZANETTI Arturo, caporalmaggiore FEA Luigi, soldati SALVAGNO Domenico, DEVALLE Matteo, BARRA Giovanni, DELFINO Giovanni, VIOTTO Pietro e GIUSIANO Matteo. (nota 2).

In realtà ci sarebbe ancora un altro militare tra i caduti, BECCHIO Giorgio, sepolto nel cimitero militare di Bolzano.

Quindi mi sono recato all’edificio scolastico (foto 7 e 8), teatro degli scontri armati, ormai risistemato e trasformato nel tempo. (nota 3).

Cerchiamo adesso di contestualizzare l’evento di Ora.

Prima ancora che Badoglio annunci l’armistizio, le truppe germaniche sono pronte ad entrare in azione contro gli ex alleati… Gli obiettivi sono diversi: disarmo delle truppe italiane, cattura ed invio nei campi di lavoro in Germania del maggior numero possibile di soldati, acquisizione completa del materiale bellico.

Alle ore 20 dell’8 settembre, pochi minuti dopo l’annuncio radiofonico dell’armistizio, il capo di Stato Maggiore operativo del comando supremo della Wehrmacht dirama telefonicamente a tutti i comandi interessati la parola convenzionale “Achse” che rende esecutiva l’operazione di disarmo a sorpresa, con ogni mezzo e senza il minimo scrupolo, dell’esercito italiano.

Gli alpini, tra cui il battaglione “Saluzzo”, pochi mesi dopo la ritirata di Russia, erano stati inviati a presidiare le infrastrutture stradali e ferroviarie in Alto Adige.

«Sono le 20 del giorno 8 settembre 43 - così comincia il diario dell’alpino Pietro Quaglia - la radio ci annuncia la notizia dell’armistizio, lì per lì, tutti dimostrano una strana impressione, una gioia, che però non è certa e non ha solidità: subito si danno ordini di preparazione e di allarme…

Alle due (del 9 successivo, nota dell’autore) (i tedeschi) danno l’assalto alle guardie del ponte sull’Adige e, facendo prigionieri quelli di guardia, s’impossessano del ponte.

Verso le tre, ufficiali tedeschi si presentano (dopo aver però circondato coi loro uomini) al Comando di Battaglione e intimano al Sig. Maggiore (Giacomo Fabre, nda) di deporre le armi. Questi, non potendo prendersi tale responsabilità, richiede un’ora di tempo per avere e dare ordini, ma non gli viene concesso nemmeno il minimo tempo di cinque minuti e mentre il Maggiore dà l’allarme e chiama gli Alpini al proprio posto di combattimento assegnato, s’odono le raffiche di mitraglia, che infrangono i vetri, frastuonano nelle camere e cominciano a segnare feriti…

Intanto si fa alba e poi giorno e le raffiche s’intensificano e sembrano sempre più rabbiose. Da parte nostra si risponde poco perché non abbiamo postazioni convenienti e poi abbiamo pochissime munizioni.

Mentre il fuoco prende, verso le sette (del 9 settembre, nda), un aspetto terrificante, ecco che si odono le grida degli avversari che si lanciano all’assalto. Giungono nel frattempo alcuni carri armati e si mettono a sparare nella facciata dell’edificio (la scuola elementare) in cui ci siamo riparati quasi tutti. Noi si vorrebbe (o almeno il tenente comandante) tentare l’ultimo gesto con il lancio di tutte le bombe a mano, ma qualcuno fa presente che non conviene versare altro sangue inutilmente ed allora… ci arrendiamo. In quel frattempo anche il comando di Battaglione è stato costretto ad arrendersi, come pure varie squadre dislocate in qua ed in là per il paese…

Nella nostra compagnia oltre ai vari feriti, si lamentano cinque o sei morti (in realtà nove, nda). Cominciano così a radunarci...».

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