La professoressa Balbis una vera maestra di vita
Centenaria saluzzese: il ricordo
Mercoledì scorso se n’è andata la mia cara zia, unica sorella di mia madre. Nata nel 1924, era dunque centenaria. Angela Ferraris era il suo nome, ma meglio conosciuta come la professoressa Balbis.
Ha fatto scuola a generazioni di studenti saluzzesi, ricordata per la sua gentilezza, per il viso sorridente e gli occhi dolci che comunicavano comprensione e affabilità.
Era la mia madrina e il nome “Angela” ci accomunava. E’ stata una grande zia, ma soprattutto una maestra di vita. Non ricordo di averla mai vista triste o “piangersi addosso”, anche nei momenti difficili, e non si è smentita neppure negli ultimi istanti di vita. Quattro giorni prima di morire, lucidissima, mi ha ricevuta non più seduta sul suo mitico sofà, ma sulla sedia a rotelle e, pur faticando a parlare, alle domande che le ponevamo io e sua figlia, e alle sollecitazioni ai ricordi del passato, ha risposto con una serenità e una partecipazione sorprendenti, senza nostalgia o melanconia, ma con la sua proverbiale gratitudine alla vita, che le aveva dato tanto, come dice la canzone “Gracias a la vida” cantata da Mercedes Sosa.
Ha trascorso tutto il tempo della sua esistenza nella stessa casa, un appartamento in un palazzo nobile di Saluzzo, di sua proprietà, non cambiando praticamente nulla, lasciandolo come vi era entrata, con la stessa disposizione, gli stessi mobili, suppellettili, porte decorate, pavimenti in gres e legno. La sua casa mi ha sempre affascinato per quel “non so che di antico”, in particolare lo studio, dove gli scaffali di libri in perfetto ordine, le vecchie stampe alle pareti, il mobiletto di legno con incastonati la radio e il giradischi, il piccolo divanetto Luigi Filippo riportavano a un passato che sembrava voler rivivere.
E proprio in quell’ambiente ho i ricordi più vivi della mia adolescenza, in particolare quelli dei tempi della vecchia scuola Media. Allora era obbligatorio imparare il latino già dal primo anno, per cui, quando avevo qualche difficoltà, mi attaccavo al telefono a parete, e chiedevo alla zia se mi potesse aiutare. Lei, laureata in lettere antiche, era sempre disponibile a ricevermi nello studio di casa dove, con il suo garbo, la sua dolcezza, il suo benefico incoraggiamento riusciva a trasmettermi entusiasmo e sicurezza nell’apprendere.
Io avevo come insegnante una sua amica, un’ottima professoressa di lettere, però più rigida e inflessibile, tant’è che spesso mi trovavo a invidiare le alunne di mia zia, che potevano usufruire in classe di un’atmosfera più distesa, rilassata, quasi gioiosa, perché “gioia di vivere” trasmetteva la professoressa Balbis.
Era una donna innamorata del sole, della luce, dell’aria aperta, amava camminare, infatti, finché le gambe hanno retto, non ha mai rinunciato alla passeggiata giornaliera.
Era anche amante del buon cibo e faceva grandi feste quando la mia mamma, ottima cuoca, la ospitava a pranzo oppure quando le si proponeva di andare al ristorante. Rispondeva agli inviti, ai regali, ai complimenti, alle cortesie, con la sua innata gratitudine, che traspariva dal suo accattivante sorriso e dai suoi occhi luccicanti.
Andarla a trovare, anche ultimamente che non era più autosufficiente, con problemi di udito e di vista, era un toccasana, perché seguiva i discorsi con molta attenzione, informandosi su tutto e rispondendo a tono sempre con quella serenità che la distingueva e che riusciva a trasmettere.
Era di un’umiltà sorprendente, pur conscia di esser stata capace di conseguire una laurea in tempi non facili, in piena guerra, dovendo studiare quasi di nascosto, poiché mia nonna, che aveva un negozio di alimentari in via Palazzo di città, la obbligava ad aiutarla nell’attività commerciale quasi a tempo pieno. Amava raccontare che da giovane era molto timida e trovava appoggio in mia madre che, essendo intraprendente, l’aveva aiutata in tante circostanze. Erano due sorelle molto diverse (di questo mia nonna non si dava pace), ma sono state sempre unite e molto affiatate.
Aveva una bella discendenza. Vedova giovane, era il punto di riferimento di figlia, genero, nipoti e pronipoti.
Spesso scherzavo con lei dicendo che mia madre, con quattro figli, era riuscita appena ad avere 3 pronipoti. Lei, con una unica figlia, ne aveva ben cinque . E tutti e cinque amavano quella nonna bis, che li accoglieva sempre sorridendo, dimenticando i suoi anni e rivolgendo ogni tanto lo sguardo alla gigantesca foto posta sulla credenza, che la ritraeva con i suoi cari.
Due settimane fa circa, il giorno del mio compleanno, ho voluto andare a farle visita per rendere il genetliaco più speciale e mi sono fatta fotografare con lei, con quel suo solito sorriso di gratitudine e contentezza di chi ha saputo vivere ogni istante della vita con la consapevolezza che il presente è il momento che conta, “il qui e ora”, decantato da psicologi e psicoterapeuti. Il passato è passato e domani è un altro giorno.
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